DE VIVO OLD SCHOOL JEET KUNE DO
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PER CAPIRE IL JEET KUNE DO                                                             

1/3/2015

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“Voglio chiarire una volta per tutte che non ho inventato un nuovo stile, NE’ UNA MESCOLANZA o una modifica di altri stili” raccontò Bruce Lee ai lettori della famosa rivista americana di arti marziali “Black Belt Magazine” nel 1971. Non ho in alcun modo inserito il Jeet Kune Do in uno schema particolare, retto da leggi che lo differenziano da questo stile o da quel metodo. Al contrario, spero di liberare i miei seguaci dai legami che li vincolano a stili, modelli e dottrine.

Quello che Lee cercava di formulare nel Jeet Kune Do era uno “stile universale” attraverso il quale un combattente avrebbe potuto fronteggiarne un altro, su un piano di parità, senza preoccuparsi della scuola di provenienza.

Come egli soleva spesso sottolineare:”Era una forma sofisticata della lotta di quartiere”; le regole erano fissate dal singolo individuo. Ottenere questo risultato voleva dire gettare a mare ogni restrizione, e ciò significava che la chiave del Jeet Kune Do era la semplicità.

“Per fare una statua”, diceva Lee ai suoi allievi, “uno scultore usa soltanto l’argilla necessaria. Infatti, egli si mette all’opera togliendo tutto ciò che è superfluo, finché la sua creazione si rivela senza ostacoli”.

Jeet Kune Do significa non aggiungere niente di più. Vuol dire ridurre al minimo. In altre parole, abolire il superfluo. Non si tratta di aggiungere ma di togliere qualcosa giorno per giorno. L’arte, in verità, è l’espressione dell’io. Più il metodo è complicato e restrittivo, minore è la possibilità del singolo di esprimere liberamente il proprio pensiero originale.

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